Non è infrequente che qualcuno mi chieda se è difficile “fare un giornale come Prometeo”.
La domanda è semplice e prevede analoga risposta: sì, è difficile.
Un trimestrale come il nostro, volutamente eclettico, spazia su molti campi del sapere. Non ho usato il verbo spaziare a caso: in effetti, più che un tragitto definito – virtù di altre testate, più ideologiche di noi – è una navigazione dagli ampi percorsi. Dipende anche molto dalle proposte che vengono fatte. Prometeo è una rivista autoriale, significa che gli autori, le loro idee, le loro competenze e il modo con cui le esprimono, sono elementi realmente decisivi.
Anche nei casi più dottorali, si tratta sempre di materiale umano, da maneggiare con cura.
E con la consapevolezza che, appunto umanamente, possono esserci delle defaillances. Per esempio, la lavorazione del numero di settembre, che cade in luglio e agosto, è la più incidentata.
Se qualcuno non consegna, è certo che avviene a fine luglio, oltre ogni più che comprensiva deadline, per il semplice motivo che nella percezione comune la vera fine dell’anno sociale cade ai primi di agosto, quando le scadenze si sono addensate e non si è riusciti ad assolvere tutto.
Un’altra caratteristiche delle scritture estive è che sono più brevi. Con gli autori di Prometeo, di solito, il problema è riuscire a far stare i testi negli impaginati. Ma non d’estate. Del resto, è un fenomeno noto anche nell’editoria libraria: gli scrittori quasi sempre scrivono in altre stagioni, senza anticicloni e senza zanzare.
Per tornare alle difficoltà di ideazione e di selezione in una rivista come Prometeo, devo sottolineare che a volte ci permettiamo “le suggestioni del tempo”, cioè l’irrompere di qualche anniversario. Ci sono quelli troneggianti e universali, ma anche quelli più ricercati e sottili.
In questo numero di settembre, ne abbiamo scelto uno che certamente è indice di qualità culturale ma che dischiude uno scenario per niente sottile, anzi deflagrante. Come ci racconta Andrea Masala, sessant’anni fa, nel 1964, è uscito in America un libro destinato a incidere nell’immaginario collettivo di più generazioni, in particolare di quella comunemente detta “del ‘68”. Lo aveva scritto Herbert Marcuse, filosofo e sociologo tedesco naturalizzato americano, uno dei più rilevanti esponenti della Scuola di Francoforte, intessendo una critica radicale della società dei consumi.
Felici i tempi in cui un saggio poteva cambiare il mondo.
E comunque fa un certo effetto atterrare qualche pagina dopo in un grandissimo servizio a più mani che cerca di cogliere natura e ragioni di questo nostro incerto presente dove, a voler essere sintetici, regnano fake news, credulità, illusioni, oltre che un’ampia e diffusa stupidità.
Non so voi. Io mi consolo guardando una volta di più i meravigliosi gatti di Istanbul che Stephen Alcorn, il nostro cover artist, ha disegnato per noi. È un’esclusiva mondiale, di cui siamo profondamente fieri.
Un’ultima notizia: a partire da fine settembre, faremo delle presentazioni di Prometeo in diverse realtà italiane. Sul sito www.prometeoliberato.com metteremo delle segnalazioni per conoscere con più precisione luogo e data. L’obiettivo, come sempre, è amplificare la notorietà del nostro giornale e, perché no, acquisire anche nuovi lettori. Intanto, sempre a pagina 171, nella terza di copertina, tutte le info per abbonarsi.
A presto!

Gabriella Piroli